venerdì 30 maggio 2014

Scontro su vitalizio a condannati per mafia, i grillini “Chiediamo dimissioni di Ardizzone, ecco chi ha votato contro”. Il Pd Proposta inapplicabile


Il capogruppo dei 5 Stelle Francesco Cappello accusa il presidente dell’Ars di non essere imparziale per aver attaccato il deputato Cancelleri sul stop al vitalizio di Cuffaro.


LA MIA ESTERNAZIONE:

L'ex governatore Totò Cuffaro in carcere per mafia continuerà a percepire i 6mila euro al mese, e non passa l'emendamento del M5S. Applauso!! Povera Italia!!!! :-(

29 maggio 2014
E’ scontro tra i grillini e il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone. Il Movimento 5 Stelle chiede le dimissioni di Ardizzone per “le accuse fatte dal presidente in aula contro il deputato Giancarlo Cancelleri”, che ha proposto un emendamento che bloccava il vitalizio non solo per gli ex deputati condannati per reati contro la pubblica amministrazione, ma anche per reati di mafia. Emendamento poi bocciato dall’aula:Ma le parole del presidente di Sala d’Ercole sono state molto gravi – dice il capogruppo grillino Francesco Cappelloci ha accusato di avere dei collaboratori a spese del gruppo.
Giovanni Ardizzone, presidente dell'Ars
Ma ad avere un super staff è lui ed è sempre Ardizzone che non vuole la trasparenza di questo palazzo non pubblicando gli stipendi d’oro dei dipendenti dell’Assemblea”. Per il deputato Giorgio Ciaccioin questo Parlamento non c’è alcuna trasparenza”: “Il segretario generale Sebastiano Di Bella non ci vuole dare i dati né sugli stipendi dei dipendenti né sui vitalizi – dice Ciaccio – è davvero incredibile che un consigliere comunale deve pubblicare il suo stipendio e un dipendente dell’Ars no”. L’ex capogruppo Cancellerila votazione che ha bocciato il nostro emendamento è stata vergognosa”: “Faremo i nomi di tutti i deputati che hanno votato contro una norma giusta, che prevede la sospensione del vitalizio per i condannati per mafia”.

I grillini hanno pubblicato su internet l'elenco dei votati all'emendamento che avrebbe sospeso il vitalizio per gli ex deputati condannati per mafia: insieme ai 5 stelle hanno votato a favore della sospensione i deputati di Forza Italia Edy bandiera e Salvo Pogliese, il democratico Fabrizio Ferrandelli, Vincenzo Vinciullo di Ncd e il vicepresidente dell'Ars Antonino Venturino.


I grillini hanno poi pubblicato i deputati che risultavano assenti alle votazione sull'emendamento che riguardava i vitalizi, ma che hanno partecipato al resto delle votazioni sulla manovrina: tra questi, Alice Anselo di Articolo 4, Antonello Cracolici, Mariella Maggio e Concetta Raia del Pd e il governatore Rosario Crocetta. E, ancora, il capogruppo del Pd Baldo Gucciardi, quello dell'Udc Calofgero Firetto.

Cancelleri interviene poi sulla relazione della Corte dei conti che ha stabilito spese pazze per Pdl, Mpa, Pid e Grande Sud per un totale di 1,5 milioni di euro, mentre per i grillini è tutto regolare: “Si è montato un caso sulle nostre spese e adesso finalmente abbiamo dimostrato che le nostre spese sono regolari – dice Cancelleri – ci hanno detto che eravamo indagati, non lo eravamo ma soprattutto tutte le nostre spese sono state considerate regolari dalla magistratura contabile”.

Ardizzone replica così su Facebook: "Alla prima occasione regalerò ai deputati grillini una copia del libro 'il grillo parlante', edito nel 1983 da un autore contemporaneo come Roberto Gervaso, sottolineandogli l'aforisma: "la morale ci dice quello che dobbiamo fare. Il moralismo quello che gli altri facessero".

E in soccorso di Ardizzone arrivano i deputati del Pd: "Il nostro è un no secco contro le norme che colpiscono una sola persona: togliere il vitalizio a Cuffaro non è competenza della Regione - dicono i deputati regionali Bruno Marziano, presidente della Terza commissione "Attività produttive" e Marika Cirone Di Marco, componente della Quarta commissione "Ambiente e Territorio" - rivendichiamo la giustezza e la civiltà giuridica del nostro voto. Sia il Governo che l'intero parlamento regionale, tranne il Movimento 5 Stelle e qualche altro deputato, hanno votato contro l'emendamento. La Regione non ha alcun potere di intervento in materia - aggiungono i due deputati del Partito Democratico - e il vitalizio è il frutto anche di versamenti personali. Oltretutto, proprio per queste ragioni, la legge nazionale non lo prevede per il deputato nazionale che commette quel reato, e noi abbiamo mantenuto l'adeguamento alla legge nazionale".


giovedì 29 maggio 2014

Casalesi, prime ammissioni di Iovine: “Soldi per sindaci di ogni colore”

Casalesi, prime ammissioni di Iovine: “Soldi per sindaci di ogni colore”
Depositati i primi verbali in cui emergono le rivelazioni fatte dal capo clan che ha iniziato a collaborare con la giustizia lo scorso 13 maggio. "Sto spiegando un sistema di cui la camorra non è l’unica responsabile", ha dichiarato:
Antonio Iovine (Scheda segnaletica della Questura di Napoli)
“So benissimo di quali delitti mi sono macchiato. Sto spiegando un sistema di cui la camorra non è l’unica responsabile. C’erano soldi per tutti in un sistema particolarmente corrotto. C’erano dei sindaci che avevano interesse a favorire imprenditori collusi con il clan per avere dei vantaggi durante le campagne elettorali in termini di voti e finanziamenti. Non aveva importanza il colore del sindaco perché il sistema era operante allo stesso modo”. Così inizia la collaborazione di giustizia di Antonio Iovine, detto ‘O Ninno, indiscusso capo clan dei casalesi, catturato nel novembre del 2010 dopo 14 anni di latitanza. I quattro verbali sono stati depositati al processo in corso davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico del consigliere regionale Enrico Fabozzi e di alcuni imprenditori del casertano. Come ha riferito il pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro, Iovine ha iniziato a collaborare il 13 maggio; l’interrogatorio è previsto per il 7 giugno.
Antonio Iovine (camorrista)
Poi Iovine ha continuato: ”Generalmente io ero del tutto indifferente rispetto a chi si candidava a sindaco, nel senso che chiunque avesse vinto sarebbe entrato automaticamente a far parte di questo sistema gestito da noi”. “Devo però anche dire”, ha aggiunto, “che altre persone del clan potevano avere passione per la politica e comunque un interesse per un candidato piuttosto che per un altro”. Iovine ha poi parlato di una ”mentalità casalese inculcata fin da giovani”: è quella che si può definire “la regola del 5 per cento, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che, prima ancora che i camorristi, ha diffuso nel nostro territorio lo Stato, che non ha offerto delle possibilità alternative e legali alla popolazione”. Quindi Iovine, pur ammettendo le proprie responsabilità in “gravissimi delitti” ha affermato: “Le nostre condotte sono anche conseguenza di questo abbandono che abbiamo percepito da parte dello Stato”.
Antonio Iovine (camorrista)
E ancora sulle responsabilità dello stato:Anche la parte politica che dovrebbe rappresentare la parte buona dello Stato è stata quantomeno connivente con questo sistema se non complice. Sicuramente era del tutto consapevole di come andavano le cose”. Come si legge in un altro passaggio del verbale “era noto a tutti che, per esempio, la ditta per le refezioni scolastiche era un’impresa di Antonio Iovine, eppure nessuno si è mai opposto a questo sistema. Per esempio a San Cipriano una personalità come Lorenzo Diana, che pure ha svolto un’azione politica dura di contrasto alla criminalità organizzata anche facendo parte della Commissione Antimafia, ha permesso che noi continuassimo ad avere questi appalti anche quando erano sindaci Lorenzo Cristiano e Angelo Reccia, della sua stessa parte politica”. “Il sistema è andato avanti fino al 2008?, ha poi detto Iovine, “e allo stesso modo nulla ha avuto da ridire il sindaco Enrico Martinelli che era invece del centrodestra”.
Foto segnaletica del camorrista Antonio Iovine
L’ex parlamentare Diana ha replicato a queste affermazioni: “Iovine scopre l’acqua calda sul fatto che gli appalti nei territori a dominio camorristico dei Casalesi fossero condizionati dalla criminalità organizzata visto che non c’era la libertà di partecipare agli appalti senza il loro assenso. Questa realtà è stata denunciata da me con prove evidenti nella Commissione Antimafia, alla Prefettura e in pubbliche dichiarazioni chiedendo allo Stato di estirpare il controllo del territorio da parte del clan. Su questi aspetti ho chiesto e ottenuto tante riunioni del Comitato provinciale per l’ordine e sicurezza pubblica”.
Foto archivio della Questura di Napoli (Antonio Iovine: camorrista)
Nel verbale si legge anche di alcuni milioni di euro destinati al rimboschimento nell’Alto Casertano, erogati dal ministero dell’Agricoltura e che finirono nelle casse del clan dei Casalesi. “Si trattava”, ricorda “di lavori appaltati attraverso finanziamenti del ministero dell’Agricoltura e Vincenzo Della Volpe ottenne di essere colui che avrebbe gestito i relativi appalti per conto dei clan”. Della Volpe “utilizzò anche imprese del Napoletano, vivai che avevano le categorie giuste per accedere a questi finanziamenti. Se non sbaglio questi finanziamenti si riferiscono al periodo in cui il ministro dell’Agricoltura era Alemanno e ricordo il particolare che il ministro venne a San Cipriano per una manifestazione elettorale al cinema Faro su invito di mio nipote Giacomo Caterino, anche lui impegnato in politica, tanto che è stato candidato alle elezioni comunali e provinciali ed è stato anche sindaco di San Cipriano”.

Iovine ha poi confermato l’uccisione di Antonio Bardellino, padrino del clan dei casalesi, il cui cadavere non è mai stato ritrovato: “So per certo che è morto ma non so dire per quale ragione non si sia mai ritrovato il corpo”.

*N.B.: Soprannominato o'ninno Iovine, insieme a Michele Zagaria e Francesco Schiavone, è uno dei principali boss camorristici del Clan dei Casalesi.



martedì 27 maggio 2014

Camorra, sgominato clan dei “tatuati”. “Compravamo droga da Genny ‘a carogna”

Sono 14 le ordinanze di custodia cautelare chieste e ottenute dalla Dda di Napoli. Il segno distintivo degli appartenenti era il tatuaggio che raffigurava "Bodo" un personaggio dei cartoni animati e soprannome del boss emergente Marco de Micco
Bodo, il tatuaggio utilizzato dal clan camorristico


Mie riflessioni:
*"Dopo aver visto la sconfitta dello Stato italiano con protagonista assoluto un ultras del Napoli Calcio Genny ‘a carogna, mi pare troppo poco giustificare quanto avvenuto. Forse (per i miei 30 anni trascorsi come dipendente del Ministero Dell'Interno (Polizia di Stato), posso dire che i politici, i responsabili della Federazione Calcio, non hanno voluto prendere provvedimenti per evitare che la partita di pallone non venisse svolta; denaro e poteri che a noi non è consentito comprendere (celato da tutti i media). Per questo finalmente si è riusciti a mettere "una pezza" in quella figuraccia nazionale e internazionale che ci fu per il calcio italiano. Lo Stato non è presente in territori dove le organizzazioni criminali "sciaquano i panni sporchi", utilizzando persone fisiche, carne umana, spesso ragazzi che non vedono nessuna prospettiva per il loro futuro, aggiungendo che le politiche locali sul territorio nulla fanno per arginare o debellare. Mi piange il cuore sapendo che vite umane abbiano lasciato il loro respiro per morire in nome di questo o quel clan o mafia, ma nulla cambia.
Antonio Minichini, Gennaro Castaldi, Alessandro Malapena sono morti e in parte lo Stato italiano ne è responsabile. Non esisteva nessuna associazione, organizzazione nel territorio per dare aiuto a queste persone? Non ci voglio credere e non ci credo. La camorre, le mafie, le organizzazioni criminali organizzate, si possono debellare solo e soltanto se viene estirpato il marcio che esiste nella politica italiana, in quel pseudo personaggio che ricopre una carica pubblica e/o politica che scende e si vende a compromessi con la camorra, le mafie! Nella mia conclusione posso solo dire che l'omertà aiuta i già ricchi di denaro e indebolisce la democrazia. Spero solo che non ci siano ancora 18enni che dovranno pagare con la vita, una vita già bruiciata da una politica che non esiste oppure si comporta come le tre (3) scimmie: "non vedo, non sento, non parlo"*.


Ciro C. se lo è fatto tatuare sull’avambraccio. Antonio N. sull’anca. Roberto B. in prossimità delle parti basse. “Bodo”, un personaggio dei cartoni animati, è il soprannome di Marco De Micco, boss emergente di Ponticelli, quartiere di Napoli, già feudo della famiglia Sarno. Il clan De Micco ha costruito la sua ascesa grazie al sostegno del clan Cuccaro del quartiere limitrofo di Barra, fino a diventarne la ‘loga manus’ sul territorio di Ponticelli. Quel tatuaggio, accompagnato in qualche caso dalla scritta “rispetto, fedeltà e onore”, è considerato dagli inquirenti il marchio di affiliazione alla cosca dei fratelli De Micco.

Gennaro De Tommaso

martedì 13 maggio 2014

Marcello Dell'Utri e Amedeo Matacena la fuga a Beirut per evitare il carcere condanna per mafia

Riflessioni ANTIMAFIA:
Insomma, sembra proprio che la magistratura italiana sia talmente modificata nel suo iter, dai vari Governi che in questi anni si sono succeduti, da non poter fare nulla in sutuazioni simili.
Inermi, attendono che "la politica e i politici italiani si pronuncino e decidano".
Oramai il declino della nostra magistratura, a forza di "Decreti Legge", personalizzati per favorire i malavitosi presenti nel nostro Parlamento, vengano tutelati in ogni modo!
Tutto questo è inaccettabile se fossimo in Democrazia, ma forse questo (anche la Democrazia in Italia),  è stato talmente alterato, modificato, con modifiche al CP (copide penale) e CPP (codice di procedura penale), da far rabbrividire gli stessi Paesi che adottano per i loro cittadini la dittatura!
Questa mia esternazione non è solo frutto di un mio pensiero, essendo io un ex dipendente del Ministero Dell'Interno.
Non comprendo come mai l'italiano non si sia ancora ribellato, in modo pacifico, ma con forza: scendendo per strada, nelle piazze a manifestare il proprio dissenso e chiedendo le dimissioni di tutte le persone che ricoprono una carica pubblica e politica, per dare le dimissioni, restituire i soldi, non avere per loro la pensione e i privilegi che gli vengono concessi anche se indagati, o ancora peggio se condannati in via definitiva!
Credo che l'italiano sia un poco tardo nel risvegliare queste cose, ma quando comprende forse è troppo tardi. Attende forse di avere calate totalmente le braghe, le mutande per sentire realmente il suolo a culo nudo?
Non saprei cosa aggiungere. Per ultima cosa e come sempre
A VOI LE RIFLESSIONI!

I 3 magnifici impuniti

È Beirut la terra promessa per chi, come gli ex parlamentari di Forza Italia Marcello Dell'Utri e Amedeo Matacena, è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il primo, amico da una vita di Silvio Berlusconi, si trova nella capitale libanese da quasi un mese e il ministero della Giustizia ha già spedito le carte per chiederne l'estradizione. Infatti sull'ex senatore siciliano pende un mandato d'arresto. Inoltre a breve la Cassazione dovrà esprimersi sulla condanna a 7 anni inflitta a Dell'Utri dalla corte d'Appello.

Anche Matacena, che è stato condannato in via definitiva per lo stesso reato a 5 anni di carcere, ha cercato di raggiungere Beirut, ma senza successo. Infatti l'ex parlamentare, dopo essere fuggito dall'Italia ha girato alcuni Paesi fino ad arrivare negli Emirati Arabi Uniti dove era stato arrestato dalla polizia locale al suo arrivo all'aeroporto di Dubai su segnalazione delle autorità italiane.

Pochi giorni dopo, però, Matacena è tornato in libertà in quanto non è stata completata la procedura di estradizione in Italia. La giurisdizione degli Emirati arabi, dove non esiste il reato di criminalità organizzata e con i quali l'Italia non ha accordi bilaterali, prevede che i cittadini stranieri in attesa di estradizione non possano essere privati della libertà oltre un certo limite di tempo. Matacena non poteva però lasciare il Paese arabo in quanto privato del passaporto. Per la giustizia italiana è rimasto un latitante. È in questa fase, secondo l'accusa, che sarebbe intervenuto Claudio Scajola - arrestato per procurata inosservanza di pena- che avrebbe cercato di aiutare Matacena a trasferirsi in Libano.

Nella sua ordinanza, il gip scrive che le investigazioni "vedono Scajola in pole position nell'impegno volto all'individuazione di uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l'estradizione di Matacena o la rendesse quantomeno molto difficile e laboriosa. Tale Stato Scajola lo individuava nel Libano, impegnandosi con personaggi esteri di rango istituzionale per ottenere tale appoggio per tramite di importanti amicizie ". Come ad esempio Vincenzo Speziali, nipote e omonimo dell'ex senatore del Pdl.

Ma perché proprio Beirut? E qui torna in ballo il reato per cui sono stati condannati i due ex compagni di partito. Difatti in Libano il concorso esterno in associazione mafiosa non sanno nemmeno cosa sia. Eccolo, dunque, l'inghippo. La contemplazione da parte dell'ordinamento giuridico libanese del tipo di reato in questione risulta determinante. E su questo punto i tempi per il caso Dell'Utri potrebbero allungarsi. Per Matacena forse potevano.


LEGGETE LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE TRA SCAJOLA E LA MOGLIE DI MATACENA

"Stiamo parlando della capitale, giusto? Che inizia con la L, no, che inizia con la B". A dirlo è la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, in una delle tante telefonate intercettate con l'ex ministro Claudio Scajola. Una telefonata che secondo gli investigatori testimonia come Scajola si sia impegnato per fare in modo che Matacena potesse proseguire la sua latitanza in Libano, ed in particolare nella capitale Beirut. La moglie di Matacena, infatti, si corregge con le iniziali dopo che Scajola le dice "Beh, il paese con...".

Ma non c'è solo questo passaggio, scrive il gip nella sua ordinanza di custodia cautelare, a fare "comprendere che la città individuata da Scajola sia Beirut". In un'altra telefonata, infatti, l'ex ministro, sempre parlando con la Rizzo, le dice: "ti ricordi di Beirut? Prova a concentrarti perchè passa così... questi miei amici, quando sono andato a Beirut, poi sono venuti su... amici miei, l'ex presidente, hai presente?".
Nella stessa telefonata Scajola poi prosegue: "ieri ho visto questo tizio e il discorso è venuto lì. Mi dice 'noi siamo amici di la, poi ho capito perchè, perchè Beirut è una grande Montecarlo e Dubai è una grande Montecarlo, tanto per essere chiari. Io vado a Roma prima perchè domenica questo qui viene su, suo zio. Viene su lo zio e mi dice 'stiamo a cena insieme' e devo trovare... va beh, basta, hai capito più o meno... devo dirti delle cose e devo sapere delle cose, se tu lo desideri, in modo che io possa trasmettere giusto, punto."

Fonte: www.huffingtonpost.it

FOTO - L'albergo della cattura di Dell'Utri:





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sabato 10 maggio 2014

EXPO 2015: Scajola, Berlusconi, e affari di mafia

EXPO 2015: Scajola, Berlusconi, e affari di mafia

8 maggio 2014
Scajola arrestato, i pm: “Ex ministro in prima fila per aiutare la fuga di Matacena

Il gip: "L'ex braccio destro di Silvio Berlusconi ha posto in essere condotte per rendere attuabile il piano". Cioè lo spostamento da Dubai al Libano, dov'è più difficile l'estradizione. L'indagato Speziali: "Non mi ha mai chiesto nulla"

Scajola arrestato, i pm: “Ex ministro in prima fila per aiutare la fuga di Matacena
Il gip: "L'ex braccio destro di Berlusconi ha posto in essere condotte per rendere attuabile il piano". Cioè lo spostamento da Dubai al Libano, dov'è più difficile l'estradizione. L'indagato Speziali: "Non mi ha mai chiesto nulla"
di Lucio Musolino.

Più informazioni su: Amedeo Matacena, Claudio Scajola, Concorso Esterno in Associazione Mafiosa, Forza Italia, Libano, Marcello Dell’Utri.

Così come Marcello Dell’Utri, anche l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena voleva scappare in Libano. E il “contatto” per la fuga dei due era lo stesso. In particolare, il politico calabrese (condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Olimpia) voleva andare a Beirut dove è più difficile l’estradizione. Una fuga per la quale, secondo la Procura di Reggio Calabria, Matacena sarebbe stato favorito dall’ex ministro Claudio Scajola destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare emessa  dal gip Olga Tarzia su richiesta del procuratore Federico Cafero De Raho e del sostituto della Dda Giuseppe Lombardo. In particolare, Scajola si sarebbe occupato dei contatti che servivano al Matacena per “le provviste finanziarie necessarie per proseguire la latitanza”.


I magistrati reggini scrivono, infatti, che l’ex ministro arrestato avrebbe posto in essere “articolate condotte finalizzate a rendere attuabile il pianificato spostamento del Matacena dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano”. A Dubai, da libero l’ex parlamentare era sotto processo e in attesa di essere estradato. Serviva un piano di fuga che sarebbe stato “individuato dallo Scajola per la possibilità di sfruttare le proprie relazioni personali al fine di riconoscere il diritto di “asilo politico” a favore del condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.
EXPO 2015: scandali e mafia

giovedì 8 maggio 2014

Nel Ddl contro criminalità e patrimoni illeciti via libera a reato di autoriciclaggio

Nel Ddl contro criminalità e patrimoni illeciti via libera a reato di autoriciclaggio
La bozza, che a meno di sorprese approderà in Consiglio dei ministri venerdì 9 maggio, inasprisce le pene per l'associazione mafiosa modificando l’attuale articolo 416-bis e prevede carcere fino a sei anni per chi "lava" denaro da lui stesso ottenuto. Per le aziende confiscate arriva l'opzione del "controllo giudiziario".

Pene più severe per l’associazione mafiosa, introduzione del reato di autoriciclaggio e una revisione delle norme sui beni confiscati alle mafie. Sono i principali contenuti della bozza del ddl per rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti, che a meno di sorprese approderà in Consiglio dei ministri venerdì 9 maggio. Il pacchetto, messo a punto dai ministeri della Giustizia e degli Interni, sostituisce l’attuale articolo 648-bis del Codice penale, quello sul riciclaggio, e aumenta le pene previste dal 416-bis sull’associazione di tipo mafioso. Per quanto riguarda la ripulitura di denaro sporco il testo – riporta l’agenzia Public Policy – lascia invariato il primo comma del 648-bis (che prevede il carcere da 4 a 12 anni per chi “sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa”) ma innalza la relativa multa a un valore compreso tra 10mila e 100mila euro, un salto notevole rispetto all’attuale forchetta compresa tra 1.032 e 15.493 euro. La vera novità, però, è quella contenuta nel nuovo comma 3, che prevede il carcere fino a 6 anni per il reato di autoriciclaggio, quello commesso da chi “lava”, riutilizzandolo “per finalità imprenditoriali o finanziarie”, denaro che in precedenza lui stesso ha ottenuto illecitamente. Una novità assoluta: oggi in Italia – nonostante le sollecitazioni arrivate da Fondo monetario internazionale, Commissione Ue e dalla stessa Bankitalia – quel crimine non è perseguito, perché la reimmissione nell’economia di soldi sporchi viene considerata solo un “effetto collaterale” del reato da cui sono stati ottenuti i proventi illeciti.

Pene più pesanti per i colletti bianchi che riciclano – Non solo: mentre attualmente il 648-bis stabilisce solo che la pena per il riciclaggio sia aumentata “quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale”, il nuovo testo stabilisce aggravi anche per chi si rende responsabile del reato “nell’esercizio di un’attività bancaria, finanziaria o di altra attività professionale, nonché nell’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, ovvero di ogni altro ruolo con potere di rappresentanza dell’imprenditore”. L’ultimo comma introduce poi una sorta di ravvedimento operoso, con una diminuzione della pena “fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte di sostituzione o di trasferimento del denaro, dei beni o delle altre utilità siano portate a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle utilità oggetto, profitto, prezzo o prodotto del delitto”.

Fino a 26 anni per i capi di associazione mafiosa armata – Per quanto riguarda l’associazione mafiosa, le pene previste dal 416-bis sono aumentate dagli attuali 7-12 anni a 10-15 anni per “chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone” e dagli attuali 9-14 anni a 12-18 per “coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione”. Nel caso di associazione armata, stando alla bozza la pena passa da 9-15 a 12-20 anni in caso di associazione mafiosa formata da tre o più persone e da 12-24 a 15-26 anni per promotori, capi e organizzatori. Il provvedimento tratta anche dei beni confiscati alle mafie, raccogliendo molte delle indicazioni uscite dai lavori della Commissione di studio istituita dal precedente governo, in cui siedono i magistrati Raffaele Cantone e Nicola Gratteri, oggi rispettivamente presidente dell’Autorità anticorruzione e consulente della commissione Antimafia. Da un lato viene rafforzato da 30 a 60 unità l’organico dell’Agenzia creata ad hoc – oggetto, negli ultimi mesi, di critiche sull’affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari e sull’effettivo utilizzo dei beni e dei fondi – dall’altro viene introdotta la misura più “leggera” del controllo giudiziario, attivabile quando non ci sia il rischio di infiltrazioni mafiose. L’obiettivo è far sì che realtà economiche ancora potenzialmente produttive non finiscano per fallire.

Arriva il sequestro per interposta persona – In più, riporta Public policy, in base alla bozza il sequestro o la confisca potranno avvenire anche per i beni posseduti “per interposta persona“. L’articolo 8 del testo riscrive infatti l’articolo 25 del Codice antimafia sul “Sequestro o confisca per equivalente” stabilendo che “se non è possibile procedere al sequestro dei beni” perché “il proposto non ne ha la disponibilità, diretta o indiretta, anche ove trasferiti legittimamente in qualunque epoca a terzi in buona fede, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto altri beni di valore equivalente di legittima provenienza dei quali il proposto ha la disponibilità, anche per interposta persona”. L’elemento di novità riguarda non solo i beni posseduti per interposta persona (per cui si potrà procedere anche a valere sugli eredi, come stabilisce il comma 2 e 3 dell’articolo 18 del Codice antimafia) ma anche la formulazione della fattispecie, che attualmente prevede la confisca di beni equivalenti “se la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi”. Con riguardo alla confisca, prevista dell’articolo 24 del Codice antimafia, si stabilisce che “in ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale”.

Cantone: “Corsia preferenziale in Parlamento” - Raffaele Cantone in un’intervista all’Ansa chiede che per il Ddl sia prevista “una corsia preferenziale” in Parlamento. E promuove l’introduzione del reato di autoriciclaggio, con pene fino a 6 anni: “E’ un paradosso – osserva – punire che ricicla per conto terzi e non chi lo fa sa sé. Anche gli organismi internazionali chiedevano ci completare la normativa. Ora il tema vero è modulare una norma che non punisca il mero utilizzo del denaro, ma chi realmente ricicla denaro sporco con operazioni di occultamento che ostacolano l’identificazione dell’origine dei soldi”. Il testo che entrerà in Cdm, infatti, dovrebbe punire l’autoriciclaggio (diversamente dal riciclaggio) solo se compiuto per finalità imprenditoriali o finanziarie. Un limite? “In un certo senso sì, ma è una limite che ha una sua razionalità – chiarisce CantoneFaccio un esempio. Se un soggetto commette un furto e con i soldi compra un’auto, questo non è autoriciclaggio. Se invece con quei soldi apre una pizzeria, allora questo comportamento va punito allo stesso modo del riciclaggio”. Quanto alle novità sul fronte della gestione dei beni confiscati, il ddl secondo Cantone ha “l’obiettivo di non punire con la confisca aziende in cui i livelli di infiltrazione mafiosa non sono ancora definitivi” per “garantire un’opportunità a quelle che possono rientrare nel contesto produttivo legale”. Quanto all’Agenzia, per il magistratova confermata e rilanciata, prevedendo però modifiche della governance. Il ddl affronta in parte questi aspetti, ma c’è altro da fare e molto da approfondire. A mio giudizio l’Agenzia dovrebbe essere portata sotto la Presidenza del Consiglio e potrebbe essere affidata a figure professionali, manageriali, e non necessariamente a un prefetto o a soggetti provenienti dai ranghi dell’Amministrazione”.

Fonte ilfattoquotidiano.it

sabato 3 maggio 2014

Il capo della confraternita che accoglieva il cardinale è un boss di Cosa nostra

''Il capo della confraternita che accoglieva il cardinale è un boss di Cosa nostra''

Due ore prima di essere arrestato nel blitz scattato a Palermo il venerdì santo Stefano Comandè aveva portato in processione la Madonna. La Curia non l’ha sospeso. Qualche giorno prima, con il gonfalone della sua confraternita aveva accompagnato il feretro del boss ucciso nel quartiere. Nella foto pubblicata in esclusiva da Repubblica, Comandè sorridente alla sinistra del cardinale Romeo, che lo tiene per mano
di SALVO PALAZZOLO

La sera del venerdì santo, un boss di Cosa nostra ha portato in processione le statue di Cristo morto e di Maria addolorata per le strade del centro di Palermo. Stefano Comandè, superiore della Confraternita delle Anime Sante di piazza Ingastone, è stato arrestato qualche ora dopo dai carabinieri nel blitz antimafia che ha evitato una carneficina. Sì, perché, alla Zisa, stavano per scontrarsi due clan dopo l'omicidio di Giuseppe Di Giacomo, il reggente della famiglia di Porta Nuova freddato il 12 marzo scorso in via Eugenio l'Emiro: le microspie disseminate per il quartiere dicono che Comandè stava con la famiglia Lipari, che i Lo Presti ritenevano responsabile del delitto.
Eppure, Stefano Comandè si era prodigato tanto per il funerale di Giuseppe Di Giacomo:
aveva convocato i confrati più volenterosi davanti alla bara del boss ucciso e li aveva fatti sfilare con tanto di gonfalone fino alla chiesa della Madonna di Lourdes di piazza Ingastone. Quel giorno, fu quasi una processione solenne per le strade della Zisa. Fra saracinesche abbassate e campane a morto. Una processione di mafia, perché dietro a Comandè c'erano padrini vecchi e nuovi. I carabinieri del nucleo Investigativo li hanno fotografati tutti e adesso alcune di quelle immagini sono nel provvedimento di arresto per Comandè, Lo Presti e gli altri sei del blitz del venerdì santo. Si vede Comandè mentre applaude davanti alla bara. In un'altra immagine, dispensa sorrisi e saluti.

A vederlo, questo ventottenne di 100 cento chili e più con il volto da pacioccone non sembrerebbe proprio un boss. Sul suo profilo Facebook si definisce un "libero professionista ". Di cosa non è chiaro. Ma alla Zisa non è un mistero che Comandè è un pluripregiudicato per droga (nonostante una recente assoluzione), come ricorda la procura di Palermo nel provvedimento di fermo di qualche giorno fa. Però, evidentemente, doveva avere una cultura teologica e altre doti morali sconosciute ai magistrati e ai carabinieri se da qualche anno era ormai uno dei tre "gestori" dell'antica confraternita delle Anime Sante. In questa veste, l'anno scorso, Comandè ha accolto il cardinale Paolo Romeo nella chiesa di piazza Ingastone, come testimonia una foto che i confrati hanno riempito di "mi piace" su Facebook.

Quest'anno, invece, il nome di Stefano Comandè è in bella mostra nei manifesti con il programma della settimana santa: la congregazione ha fatto le cose in grande, tappezzando (naturalmente in modo abusivo) tutte le strade principali della Zisa.

Purtroppo, il caso Comandè non è isolato. Anche il boss Alessandro D'Ambrogio, il mafioso più autorevole di tutto il centro città arrestato l'estate scorsa, faceva parte di una confraternita, quella della Madonna del Carmelo di Ballarò. Un altro video dei carabinieri lo ha immortalato mentre porta a spalla la vara durante la festa del quartiere. Comandè e D'Ambrogio si vedevano spesso: l'ennesima telecamera nascosta li ha ripresi il 3 gennaio dell'anno scorso mentre pranzano con altri mafiosi all'interno del ristorante "Bucatino" di via Principe di Villafranca. Secondo i pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli, quello era un summit del potente clan di Porta Nuova. C'è da scommettere che Comandè e D'Ambrogio sosteranno invece che era un incontro fra buoni cristiani, magari per discutere dell'impegno dei laici nella chiesa.

E la Chiesa di Palermo cosa dice di questi devoti confrati? Ieri, Repubblica ha cercato il cardinale Romeo, per verificare se siano stati adottati provvedimenti sulle confraternite infiltrate dai clan. Non è arrivata alcuna risposta. Di fatto, dodici giorni dopo il suo arresto per mafia, Comandè continua ad essere ancora l'autorevole superiore delle Anime Sante. E questo rischia di diventare un caso, perché don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio che i boss hanno ucciso e che la Chiesa ha fatto beato, si era mosso subito e con determinazione per recidere le presenze di mafia nella congregazione di San Gaetano. Così, la processione per le vie del quartiere era tornata ad essere una festa religiosa. In quei giorni don Pino cominciò a morire, perché i boss di Brancaccio erano stati messi fuori dalla Chiesa.

Fonte: Repubblica.it

giovedì 1 maggio 2014

F-35, aerei non sicuri, spese esorbitanti.

Uno squallore unico pervade moltissimi milioni di italiani riguardo l'acquisto dei cacciabobardieri F35: difeddi di fabbricazione che non solo compromettono chi pilota l'aereo ma anche le centinaia, migliaia e milioni di persone che dovessero trovarsi in caduta libera un aereo del genere. le inefficienze di questi velivoli sono documentate, basterà cosultare la rete per rendersi conto non solo dei guai che causerebbe per il Paese che li compra ma per la stessa incolumità pubblica, potendo essere armati con testate nucleari. Spese che maggiorano di mesi in mese e senza giustificazioni se non il ritardo nel comperarli, in questo modo il prezzo lievita, aumenta per le spese che il Paese produttore deve sostenere. L'Italia è divisa politicamente, ma solo in modo verbale e di comunicazione televisivi, perchè entrambi i partiti che vivono attualmente (Forza Italia e Partito Democratico), non hanno fatto nessuna scelta e non la faranno per evitare spese che non dobbiamo e non possiamo affrontare, sempre e soprattutto a scapito (ripeto), dell'inefficenza di tali ordigni da guerra.
Di seguito ho scelto tre atricoli molto esaustivi (a mio parere), che riportano non solo testimonianze del come mai non sia necessario avere un esercito sobbarcato di tali spese che non ci competono, ma anche della inaffidabilità del prodotto in oggetto.
A VOI LE RIFLESSIONI:

F-35 ancora bocciati: problemi e costi fuori controllo

''Un nuovo rapporto del GAO del Congresso statunitense sottolinea ancora una volta i problemi nello sviluppo del software e i ritardi che ne deriveranno. I costi sono ancora in salita e, nonostante le posizioni tranquillizanti di Lochkeed Martin, non arriveranno ai livelli previsti per il 2019. Tutti elementi di allarme per il nostro Parlamento, che a breve dovrà tornare ad occuparsi della faccenda.

Ancora una volta il programma Joint Strike Fighter (quello di produzione degli ormai famigerati caccia F-35) ha subito una bocciatura da parte di uno degli enti di controllo dell'amministrazione statunitense. Dopo le grandi problematiche tecniche e di gestione sottolineate qualche settimana fa dal DOT&E del Pentagono, è ora il GAO (l'organismo di controllo e ricerca del Congresso USA) a riprendersi il proprio turno, come già successo numerose volte in passato, nella sequenza di critiche al programma militare più costoso della storia.
Critiche che, è bene sottolinearlo una volta di più, non si esauriscono nella dimensione tecnico-ingegneristica del programma ma vanno sempre più frequentemente ad interessare le dinamiche di base di gestione e di evoluzione di tutto il JSF. Un aspetto ben più grave e sicuramente non risolvibile solo con maggiori investimenti in sviluppo progettuale. Ormai è chiaro a quasi tutti, tranne i ciechi sostenitori del programma sulle due sponde dell'Atlantico, che i fallimenti dell'F-35 non riguardano più solo l'aspetto dei costi, forse il primo a giungere all'attenzione del grande pubblico. La spirale negativa dei problemi tecnici è lampante. Solo per ricordare alcune questioni: un aereo che dovrebbe essere "stealth" attualmente è di un ordine di grandezza più rumoroso degli aerei che dovrebbe sostituire (in particolare la versione "B" ad atterraggio verticale dei Marines); lo sviluppo di software per l'aereo, come appunto sottolineato dal recente Report del Pentagono, è sempre più in ritardo e ciò a propria volta ha un impatto negativo sulla capacità di completamento di sviluppo e test in volo. Solo nel 2015 il pacchetto software sarà pronto per una capacità operativa iniziale come da tempo richiesto e desiderato proprio dal Corpo dei Marines.

Attualmente il programma si trova quindi in una situazione che configura un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali. È molto utile fare memoria del percorso passato del Joint Strike Fighter, per non farsi ogni volta "incantare" dalle rassicurazioni e previsioni positive del JPO (l'ufficio di programma) e di Lockheed Martin. Nel 2003 l'Air Force statunitense prevedeva di comprare 110 aerei per ciascuno degli anni fiscali 2015 e 2016: all'epoca si pensava che la produzione "a pieno ritmo" (cioè la fase finale e matura del progetto) sarebbe stata iniziata già nel 2014. Considerando un tempo di produzione di circa 2 anni, dal momento dell'ordine, l'idea era quella di garantire all'USAF almeno 550 F-35A maturi e completi per la fine del 2020. Ma già nel 2006, dopo l'evidenza dei primi problemi di sviluppo e l'esplosione dei costi, la previsione era scesa ad 80 velivoli annui per il 2015-16, sempre in uscita da una produzione "full-rate" che si sarebbe poi protratta per ulteriori 10 anni. Passa del tempo e nel budget 2012 l'Aeronautica militare a stelle e strisce decide di ridurre ulteriormente le aspettative attestandosi a 50 aerei per il FY15 ("fiscal year") e 70 per il FY16. Ma tutti usciti dalla produzione iniziale a basso rateo e con lo sviluppo progettuale non ancora terminato: una qualità ben diversa per ogni aereo. Da pochi giorni è stata presentata da Obama la proposta di budget FY15 che chiede il finanziamento per 26 F-35A per il 2015 e 44 per il 2016. Si tratta di 84 velivoli in meno delle prime previsioni e di un dimezzamento rispetto a quanto messo in conto solo tre anni fa. Una disfatta su tutta la linea, per usare termini militari. Con degli ovvi e pesanti risvolti negativi anche sul portafoglio dei contribuenti: nel budget appena presentato si mette nero su bianco che il costo medio per aereo (si intende il Weapon System Unit Cost, prezzo reale per mettere in servizio il jet senza contare costi di sviluppo) relativo all'acquisizione complessiva di oltre 1.700 aerei USAF è cresciuto del 27% rispetto alla previsione del budget 2012. Una crescita di più di un quarto del costo totale in soli tre anni.

Le nuove sottolineature del GAO

Veniamo dunque al Rapporto GAO appena diffuso, che si concentra principalmente sullo sviluppo del software ormai considerato il tallone d'Achille vero del progetto. Già dal titolo ("Problems Completing Software Testing May Hinder Delivery of Expected Warfighting Capabilities") si sottolinea come la situazione possa compromettere il rilascio di versioni dell'aereo pronte al combattimento. Causando nel contempo una crescita nei costi, già alti, di sviluppo.

''Problemi di software persistenti" hanno rallentato i test relativi ai sistemi bellici del velivolo, quelli di navigazione, di puntamento e di riconoscimento. Come già ricordato, i Marines vorrebbero avere la versione B (decollo corto ed atterraggio verticale) pronta al combattimento per la metà del 2015, ma non sembra che sia possibile completare in tempo alcuni test sul software relativo. Il ritardo prefigurato raggiunge i 13 mesi.

"Ritardi di tale portata avrebbero come significato che il Corpo dei Marines non sarà probabilmente in grado di ottenere tutte le funzionalità attese per il mese di luglio 2015. Questi ritardi hanno inoltre effetto moltiplicatore e mettono a rischio anche la consegna nei tempi previsti di aerei con le capacità operative richieste da Air Force e Navy" si legge nelle conclusioni del Documento GAO.

La riposte di Lockheed Martin, in un commento addirittura precedente alla lettura del Rapporto, è dello stesso tenore di confidenza "aprioristica" mostrato negli ultimi tempi. "Confidiamo che saremo in grado di completare tutti i test sul software come richiesto dal Corpo dei Marines entro questo anno", ha dichiarato Laura Siebert portavoce del colosso armiero USA.

Eppure, secondo il Government Accountability Office, i "problemi nello sviluppo e nel controllo del software dei sistemi di missione è continuato per tutto il 2013 a causa soprattutto di ritardi nella consegna degli aggiornamenti, capacità limitata degli stessi una volta consegnati e la necessità continua di risolvere problemi emergenti e ri-testare versioni multiple del software stesso".
Una problematica non secondaria se è vero che il GAO sottolinea come "senza una chiara comprensione delle capacità operative specifiche che saranno fornite inizialmente (si ipotizza quindi un abbassamento degli standard vista la situazione NdR) il Congresso e i vertici Militari potrebbero non essere in grado di prendere decisioni pienamente informate sull'allocazione delle risorse". In pratica: una scelta al buio a riguardo del programma più costoso e problematico attualmente in corso!

Per completare il programma nei termini stabiliti il Dipartimento della Difesa dovrebbe procedere ad un incremento costante nel finanziamento per i prossimi 5 anni, con una media di costo annuale di 12,6 miliardi di dollari fino al 2037. Il picco di costo supererà, per molti anni, i 15 miliardi di dollari ma "un finanziamento annuale di questa grandezza pone chiaramente dei problemi di sostenibilità a lungo termine, considerata l'attuale situazione fiscale" secondo il GAO. In pratica i dati continuano a confermare l'allarme globale sul Programma lanciato da tempo da molti commentatori e gruppi sia negli Usa che negli altri Paesi partner. Una situazione che dovrebbe preoccupare anche l'Italia, se deciderà di continuare a investire i propri soldi sul JSF. I costi sono inoltre tenuti alti da una "affidabilità minore del previsto" come già sottolineato dal rapporto DOT&E.

Val la pena di sottolineare, come sistematicamente già fatto in passato, che le principali problematiche che stanno affliggendo il programma dei caccia F-35 non dipendono solo da fisiologici "intoppi tecnici", che ci si potrebbe ovviamente aspettare in un progetto così complesso, ma dalla particolare impostazione del programma che vede la produzione iniziata ben prima del termine della fase di sviluppo e di progettazione. L'ormai famigerata "concurrency". Non è un caso quindi che, nell'ultima richiesta di bilancio, l'Air Force Usa abbia allocato circa 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (ma altri fondi saranno poi richiesti) proprio per risolvere problematiche legate a questa dinamica. Con una lista di oltre 150 necessità tecniche da dover gestire proprio a causa di questa impostazione. Diverse centinaia di milioni di dollari saranno dedicate a sistemazioni ed aggiornamenti su velivoli già prodotti nelle prime fasi "a basso rateo" ma che non si possono considerare di standard accettabile, nonostante accettazione formale di produzione da parte del Governo statunitense. Una procedura che andrà poi ad interessare anche i Lotti 6,7 ed 8 che comprendono pure aerei acquisiti dall'Italia. Nella lista di priorità dettagliata dall'Aviazione USA sono incluse tra le altre cose: le componenti per migliorare la protezione contro i fulmini, le prestazioni del seggiolino eiettabile, l'illuminazione sulle punte delle ali del jet, la zona preposta ad accogliere missili ed armi, il sistema di gestione termica e di potenza del velivolo, i condotti d'aria per il motore prodotto da Pratt & Whitney, la resistenza delle paratie ed infine il complicato sistema di display digitale montato dall'avveniristico casco.

Come tutta questa situazione problematica si concili con la tranquillità e confidenza mostrata sia dal produttore Lochkeed Martin sia dagli Uffici del Pentagono che gestiscono il JSF risulta essere abbastanza un mistero. Certo conta molto anche il supporto (interessato? spinto?) di una parte della politica. Come ad esempio quello del Senatore Richard Blumenthal, un Democratico del Connecticut, appena nominato presidente della sotto-commissione del Senato di Washington che sovrintende al programma F-35. La cosiddetta commissione "AirLand" è una delle più potenti del Congresso a causa del ruolo preminente che l'aviazione ricopre nella moderna strategia militare. "Sono un grande sostenitore del Joint Strike Fighter", ha detto Blumenthal nelle sue prime dichiarazioni da presidente "e continuerò ad esserlo. Molti dei problemi sono stati risolti. Cercherò di evitare ulteriori ostacoli o carenze di finanziamento". Una bella fiducia, non si sa basata su cosa, superata solo dalla capacità di analisi: alla domanda su cosa si possa fare per raggiungere i risultati finora sempre mancati dal programma Blumenthal ha risposto nella maniera più candida possibile: "Beh, possiamo fare in modo che le risorse ci siano sempre". In pratica: nessun interesse per come vadano realmente le cose, l'importante è continuare a rimpinzare di denaro il complesso militare-industriale.

Le dichiarazioni paiono davvero scollegate dalla realtà, considerando anche le ultime dettagliate note del GAO che abbiamo presentato in precedenza. Resta irrealistica anche la continua sicurezza riguardo ai costi unitari degli aerei, che Lockheed Martin continua a spergiurare si abbasseranno entro il 2019. Un'ipotesi fortemente supportata anche dal Pentagono: "Il costo di un F-35A nel 2019 si attesterà tra gli 80 e gli 85 milioni di dollari tutto compreso, con motore, profitto per il produttore, inflazione…" ha recentemente dichiarato il Generale Chrisopher Bogdan capo del Programma JSF. Quello che resta da capire è come si riuscirà ad ottenere questo risultato con un programma che continua ad accumulare problematiche e che ogni anno vede uscire dal nulla nuove necessità finanziarie.
Su questo punto il GAO si limita a registrare gli annunci alla stampa e sottolineare quanto manca a realizzarli: per la versione A si dovrà ottenere una riduzione di oltre 40 milioni di dollari ad aerei rispetto al costo a consuntivo degli aerei prodotti nel 2013. Un "recupero" di oltre il 33% in 5-6 anni, che lascia davvero qualche perplessità.